Al ritorno dalle vacanze di natale gli studenti di Bologna si sono trovanti
davanti all’ennesimo sopruso: dal 21 Dicembre tre aule studio (quella di
via acri, i greci di via delle belle arti, e quella di via Santa Maria
Maggiore) sono state chiuse dopo la scadenza del contratto che
l’università aveva con i proprietari dei locali.
Quelle aule rimanevano tra i pochi spazi in zona universitaria che oltre a dare la possibilità
di poter studiare dopo le 19 a chi lavora o a chi è costretto a vivere in doppia o in
tripla, erano anche luoghi di possibile aggregazione al di fuori
della mercificazione della socialità. Sembra che altre sale studio saranno
aperte, all’interno però dei comprensori che quindi chiuderanno alle 19
come tutti gli altri locali dell’università.
Questa ulteriore eliminazione di spazi in zona universitaria si inserisce
in un progetto ben più ampio: vengono spostate dal centro le aule di
lezione; i nostri occhi oramai sono assuefatti alla continua
militarizzazione di piazza verdi e alla costante presenza delle telecamere
di video-sorveglianza; siamo abituati a non poter bere una birra dopo le
dieci di sera; ora non si può neanche più studiare!
Sembra che qualcuno abbia deciso che gli studenti non sono più liberi di girare dopo le sette di sera.
Questo è l’ennesimo tentativo di messa in pratica delle politiche securitarie, espressione
dell’ormai assodato totalitarismo legalitario di Kofferati, che si riflette
nella gestione dell’ateneo da parte del rettore Kalzolari, aggiungendosi alle tasse
universitarie nuovamente aumentate, all’ampia
agibilità politica lasciata ad Azione Universitaria, alla riformulazione del codice
etico (che prevede sanzioni da parte dell’università come la sospensione
dalla possibilità di dare gli esami).
Un’alleanza strategica di interessi fra le istituzioni accademiche e
l’amministrazione comunale sta cercando di dare una stretta al definitivo
disciplinamento della realtà bolognese, portando in primo piano
l’attacco al precariato studentesco, che invece continua a costruire un cardine centrale nella ricchezza
materiale e immateriale della città.
Eppure sembra che l’università da una parte e il sindaco-sceriffo
Cofferati dall’altra ci vogliano spingere sempre più fuori dal centro di
Bologna. D’altronde è già in cantiere il progetto di decentrare la
cittadella universitaria e spostarla verso la zona del lazzaretto dove è
stato già spostato il polo di ingegneria.
In via zamboni l’unica “isola felice” rimasta sembra sia il 36…uno
dei pochi luoghi in zona universitaria dove continuano ad intrecciarsi
relazioni e dove si crea una socialità che non passa dalla
mercificazione e dal controllo, anche se l’ingresso sembra un check point
con tanto di barriere e di guardiani: infatti due anni fa la volontà
dell’ateneo era quella di attivare il controllo elettronico del badge, che
avrebbe comportato non solo una limitazione dell’accesso per chi non è
iscritto a determinate facoltà, ma anche un controllo sistematico degli
stessi iscritti che per meglio uniformarsi al nuovo modello di una
università-fabbrica dovrebbero anche timbrare il cartellino.
Queste politiche cercano sempre più di frammentare le
relazioni tra gli studenti, perfettamente congeniali al nuovo modello di università-fabbrica.
Per questo a suo
tempo non abbiamo esitato a rompere, pubblicamente, insieme a tantissim*
altr* student*, i meccanismi di controllo del badge e non abbiamo esitato a riappropriarci della comunicazione muraria con la notte bianca al 38in ottobre e la ripresa di piazza scaravilli in dicembre!
L’unico problema del 36 è che alle 19 chiue ma non tutti sono d’accordo!
Abbiamo sempre creduto sia giusto e possibile costruire forme di riappropriazione dei
nostri bisogni, creando collettivamente percorsi che pratichino le nostre
esigenze e parlino i linguaggi dei nostri desideri.
Collettivo Universitario Autonomo