A che punto è la notte?
Confindustria né i sindacati, sono in grado di elaborare risposte
concrete, politico-economiche o sociali, exit strategy da questo
pantano di precarietà, controllo dei territori, alienazione,
polarizzazione sociale, nel quale ci hanno cacciato, non hanno altro da
fare che difendersi, difendere posizioni e privilegi, in modo
preventivo o immediato.
Non rimane che, dopo la risposta liberista neo-con dell’amministrazione
Bush di guerra globale e permanente, per perpetuare lo stato
democratico capitalista, sia necessaria una desolante conservazione nei
così detti fronti interni.
impotente nel porsi come reale centro di decisione e amministrazione
globale, ci consegna alcune indicazioni precise: vogliono tentare un
rilancio nel lungo periodo del sistema-mondo capitalistico che passi
per una pennellata di verde, un investimento massivo di capitale nella
cosiddetta "green economy" per ciò che concerne le economie a maggior
intensità tecnologica e dal più lungo sviluppo capitalistico, legata
all’apertura di nuovi cicli di accumulazione -..originaria..-, con
forme di soft power obamiano, a partire dall’Africa; continente nel
quale, omettendo i secoli di schiavizzazione dei corpi e della terra,
si vorrebbe iniziare a rubare pure il sole: miriadi di centrali
energetiche per sostenere "l’Occidente", fatte con la mano d’opera
africana, salariata dai cinesi e sotto il controllo della polizia Usa.
Ma al contempo, ben più interessante per i movimenti, questo G8
conferma l’immagine di una global governance frammentata e senza
capacità di elaborare politiche efficaci e condivise, nella totale
assenza di una pianificazione effettiva: come se il terreno di
battaglia che si sta giocando fosse fortemente caratterizzato dalla
possibilità di sviluppare nuove forme di consenso, ideologia,
immaginari, per legittimare un sistema di gestione delle esistenze
sempre più nudo, sempre più senza argomenti per giustificare la
continua caccia al profitto, la rendita di cui fa ampio utilizzo, la
guerra. E’ come se questa crisi, che mantiene un andamento ondivago,
costante ma senza esagerate esplosioni, fosse solo in attesa di qualche
soggettività in grado di incanalare le pulsioni sociali latenti verso
nuovi orizzonti..
Il tanto sbandierato nuovo corso keynesiano si sta dimostrando come
puro paravento propagandistico, una facciata politica da tradurre in
consenso. Il dato significativo è che sta iniziando a scricchiolare la
capacità politica di far adeguatamente funzionare la legge del valore,
il ruolo del capitale come organizzatore della forza lavoro (cognitiva
in primis) e come luogo nel quale far interagire e omologare i
differenti modelli con specifici gradienti di intensità dello
sfruttamento che connotano il multiverso pluristratificato col quale si
presenta oggi la composizione tecnica della classe globale.
"amministrativa" e istituzionale e il governo dei comportamenti, la
standardizzazione e funzionalizzazione dei modelli antropologici), il
Pensiero Unico, tentano di mostrare i saperi come neutrali, di
riprodurre una forza lavoro precaria docile e disciplinata, che già nel
ciclo formativo è pienamente messa al lavoro, addomesticandola ad
utilizzare il proprio strumento di lavoro: il cervello umano
macchinizzato, plasmato per l’interazione costante con flussi
informazionali parcellizzati, come hardware da costituire per il lavoro
capitalistico, in cui le competenze erogate dal sistema formativo si
riducono a fornire una attitudine alla gestione di saperi/competenze
per elaborare risposte nei tempi imposti dalle esigenze di mercato.
Saperi come software protetti da copyright che dovremmo inserire e
disinstallare a seconda delle esigenze capitalistiche, e dunque
immediatamente espropriabili.
valutazione come il credito (cioè il tentativo di rendere
quantificabili e oggettivabili i saperi, e dunque più facilmente
sfruttabili; saperi per loro essenza ontica non inquadrabili e
costantemente eccedenti dai rigidi recinti nei quali li si vorrebbe
rinchiudere), la segmentazione gerarchizzante del percorso formativo (3
2, master ecc..), l’introduzione di rapporti sempre più stretti con
altre istituzioni (economiche e politiche), sono tutti meccanismi atti
a creare questa tipologia di forza lavoro.
sono merci centrali e tipiche: sia calde, cioè nel corpo di noi esseri
viventi, sia fredde ed accumulate nella memoria del sistema, cioè nei
mezzi (di produzione). Nelle società a capitalismo più avanzato esiste
da tempo una stagnazione crescente dovuta al fatto che il mercato dei
beni di consumo durevoli e voluttuari è ormai saturo e procede solo
nella sostituzione forzata, la cultura merce ed il consumo-culturale
diventano l’unico consumo individuale che si possa aggiungere al
consumismo di massa.
la capacità oggi richiestaci è soprattutto psichica, cioè intellettuale
ed affettivo/emotiva, per essa e la sua formazione è sempre meno
possibile distinguere fra lavorativa e non: e dunque tutta la capacità
globale è merce e la cediamo durante tutte le 24 ore.
del valore della capacità-attiva-umana come merce. Capacità-umana-merce
che sta calda nel corpo-precario-vivente, il quale è sempre più un
coacervo sistemico di merci. La Cultura che si dice esplicita, quella
della concezione umanistica (filosofia, letteratura, arte e quella
parte della scienza non applicata) è merce sempre più strategica e
centrale del capitalismo odierno, ipermoderno; e dunque lo sono anche
le sub-capacità intellettuali e comunicative strettamente legate alla
cultura umanistica merce, oggi al primo posto d’interesse del
capitalista (collettivo); segue la sub-capacità emotivo-affettiva che è
oggi assai oggetto di studio: per controllarla , potenziarla ed
inserirla in un processo sperimentale di separazione per macchinizzarla
o ancora più in generale per mezzificarla. Inoltre la cultura è entrata
pure in molti segmenti dello stesso ciclo produttivo dell’automobile,
dei frigoriferi, ecc, diventando parte sempre più grossa e strutturale
dei cicli produttivi.
poteva che assumere sempre maggiore centralità nel plasmare e
disciplinare un segmento sociale quantitativamente e qualitativamente
fondamentale per un sistema che tenta invano di uscire dal
post-fordismo.
Non è ovviamente un caso che gli indirizzi strategici di mutazione
dell’istituzione universitaria siano stati delineati a livello europeo,
in un processo che nella propria successione temporale è pressoché
indistricabile dalle nuove disposizioni sul mercato del lavoro in
termini di istituzionalizzazione di rapporti precari.
A partire dal "trattato" di Bologna del 1999, il famigerato Bologna
Process, possiamo formalmente collocare l’inizio della nuova offensiva
capitalista per adeguare strutturalmente il ruolo dell’Università ai
nuovi dispositivi biopolitici di estrazione di valore dal bios, la nuda
vita, declinata in una precarizzazione sempre più intrusiva ed
asfittica delle condizioni di vita dei soggetti.
nuova ondata di enclosures per recintare e privatizzare i saperi con lo
strumento del copyright, grazie soprattutto ai continui assalti
condotti come forma di resistenza molecolare da parte di una
moltitudine di pirat*, stiamo ora assistendo a nuovi tentativi da parte
capitalistica di introdurre modelli per sfruttare questo ampio bacino
economico che registra una sostanziale differenza qualitativa rispetto
al passato: non si tratta più di produrre in economie di scala basate
sull’assunto della scarsità delle risorse, ma in economie
dell’abbondanza dove il profitto si orienta sulla cattura della lunga
scia microsettorializzata.
Fondamentale a questo proposito cogliere la tendenza all’integrazione
fra vecchi e nuovi modelli produttivi: dietro il paravento di una
guerra giudiziaria (come l’ultimo processo a Pirate Bay), si sta in
realtà assistendo al tentativo di coadiuvare la filiera industriale dei
saperi rappresentata da case discografiche, case editrici ecc.. con le
realtà emergenti (già emerse da tempo, a dir la verità..) quali Google
e l’ultima generazione di social network.
Route to the sunshine..
L’Onda è stata espressione del conflitto sulla formazione e sui saperi,
è stata la capacità di confronto con una delle tendenze più avanzate
dello sviluppo odierno.
Non è dunque casuale né inaspettato che, in vista della prossima
stagione politica, la si attacchi così duramente; oltre all’indiscusso
merito di aver reso argomento comune la Crisi, strappandolo dalle mani
di professionisti dell’economia e della politica, l’operazione Rewind
attacca un fenomeno specifico: la capacità di continuità politica,
narrativa, organizzativa, di un movimento all’interno di uno dei nodi
centrali del capitalismo contemporaneo, l’Università in particolar
modo.
Attorno ai dispositivi di creazione, gestione, diffusione dei saperi,
si gioca una battaglia determinante: il segno che si imprime ai
processi di formazione assume un valore strategico decisivo per
rilanciare con forza percorsi di trasformazione sociale, di autonomia e
di libertà.
Nel rifiuto di una condizione di precarietà sempre più estesa ad ogni
ambito dell’esistenza, nel rifiuto di essere capitale umano, di essere
merce, macchine, stanno gli elementi di meta-causalità che hanno
stimolato l’Onda.
L’onda è stata in grado di rappresentare l’emersione dagli abissi della
condizione di precarietà, co-spirando collettivamente ha prodotto una
nuova aria pura e continua sulla direzione giusta, l’andare oltre la
superficie, sommergere nuove terre riprendendosi diritti, reddito,
saperi.
La possibilità di produrre momenti di rottura sta nella realizzazione
del nostro progetto di un’università autoriformata, critica,
alternativa, in cui la pratica dell’autoformazione diventi momento
centrale della lotta sui saperi. Autoformazione sia come dispositivo
organizzativo che come strumento di creazione e diffusione di saperi
autonomi, ma anche come metodo di lotta adeguato ad intercettare
l’attuale composizione del soggetto che attraversa le facoltà.
Un’ Università che non si ponga nell’ottica di risolvere tutti i
problemi, ma accetti e proponga la dimensione della conflittualità come
tale, come ontologica: che insegni a cercare e trovare da sé
(riflettendo anche collettivamente) soluzioni originali dei problemi da
un lato e dall’altro trasmetta anche le metaprocedure risolutive già
esistenti.
A questo guardano i modelli padagogici della nostra formazione,
promuovendo come obiettivo strategico la formazione della capacità
umana, benché in contro funzione, ma per questo c’è bisogno di ricerca
e conricerca, e l’università è il luogo giusto per farla.
Dunque formazione come nostra ri-formazione, come luogo in cui ci si
riformi cercando di tornare tutti interi, e ri-soggettivati, e quindi
anche produzione di cultura, conoscenza e pensiero autonomi: e per
questo ci vogliono lotte adeguate ed organizzazione adeguata.
Ma la nostra scommessa non si racchiude solo all’interno delle mura
universitarie, esonda nel tessuto metropolitano: va alla conquista di
reddito, progetta la costruzione di un nuovo welfare che nasca dalla
creazione di dispositivi di lotta generalizzabili che vanno
dall’appropriazione diretta di case e spazi alla rivendicazione e alla
pratica di un sapere liberato dal vincolo economico; un nuovo welfare
che articoli campagne per la possibilità di accesso per tutt* alla
comunicazione (gratuità di Internet e telefonia). La nostra è una
scommessa forte che non ha paura ad intessere alleanze con altri
percorsi di lotta. Questo il linguaggio che abbiamo parlato quest’anno,
da qui ripartiamo per non fermarci.
Si potrebbero fare mille considerazioni sulla forzatura giuridica e la
sproporzionalità di questi arresti; già molto è stato detto e scritto,
ma soprattutto ci interessa utilizzare una visuale più consona alla
prospettiva dei movimenti: l’operazione Rewind, guidata dalla toga
rossa Caselli, si mostra come un teorema nell’interesse di una precisa
parte politica: a partire dalle tempistiche (poco prima del G8 de
l’Aquila e in pieno periodo estivo), passando per le modalità
operative, arrivando alla gestione mediatica (conferenze stampa con
presentazioni di video della Digos e documenti della procura che
appaiono come volantini propagandistici), emerge con chiarezza quali
siano i reali obiettivi di questo teorema:
- Innanzitutto, una chiara volontà di imporre un ordine
discorsivo e di ragionamento che appartiene a quello che è stato
definito come il trasversale PD-R (Partito della Repressione),
accomunante il blocco conservatore/reazionario di governo e la cultura
politica della "sinistra istituzionale" italiana da parecchi decenni: i
movimenti come soggetti pericolosi e da reprimere, le piazze come
luoghi di comportamenti disciplinati e passivi, in cui ogni minimo
accenno a forme di autonomia politica, organizzativa o anche solo
simbolica, viene criminalizzato;
- Inoltre, mentre il blocco di potere facente riferimento a
Berlusconi ha già dato ripetute dimostrazioni di volersi porre come
garante dell’Ordine Pubblico (dalle dichiarazioni di Ottobre sulle
facoltà occupate al decreto Maroni, passando per il Pacchetto
Sicurezza, lo sciopero virtuale, la militarizzazione de l’Aquila, i
respingimenti dei migranti ecc..), ora anche il blocco politico
economico dell’area Pd, dopo l’attacco al premier tramite Repubblica e
l’Unità, le "scosse" dalemiane e l’ennesimo round di delegittimazione
internazionale, si fa vedere come in grado e ben propenso a gestire la
crisi in termini di eliminazione del dissenso, dell’alterità, del
conflitto sociale; se il ceto capitalistico decidesse di abbandonare il
satrapo B., il Pd è pronto a sostituirlo alla perfezione in queste
funzioni;
- Infine, dopo un anno di mobilitazioni e in vista degli
effetti reali dei tagli all’istruzione, della fine della cassa
integrazione, della disoccupazione che dilagherà, un obiettivo palese
motiva questi arresti: intimorire, spaventare, individualizzare
ulteriormente le paure. Far capire che lo Stato, se sta eliminando il
suo volto sociale, non è certo disposto a far cadere il volto duro
della militarizzazione dei territori e delle galere. Che, volendo
chiudere il ciclo del welfare, l’unico keynesismo che rimane è quello
del watchfare, la spesa pubblica in sorveglianza e controllo,
declinabile a piacimento in warfare a seconda delle esigenze.
Nella decisa risposta data dall’Onda a questi arresti è racchiuso il
patrimonio di intelligenza politica che abbiamo costruito e sedimentato
durante l’anno: invece che intimorirci, abbiamo saputo rilanciare in
avanti.
Abbiamo affinato e comunicato gli strumenti discorsivi, analitici e di
lotta per decostruire in primis il teorema accusatorio, abbiamo urlato
in tantissime città che vogliamo liber* subito gli/le arrestat*. Le
occupazioni dei rettorati, i cortei spontanei, i blocchi metropolitani,
hanno ancora una volta dimostrato che l’Onda è ancora sulla sua rotta,
con la bussola ben puntata, pronta a scontrarsi con tutti gli scogli
che le si parano davanti e a superarli. E’ pronta per nuove mareggiate..
Non è un caso che uno degli slogan che hanno attraversato la
mobilitazione dell’autunno passato fosse: Indietro non si torna!
Ebbene, se con l’operazione Rewind volevano farci tornare sui nostri passi, speravano che noi premessimo Stop, abbiamo dimostrato che siamo più vogliosi che mai a rifare le nostre scelte, a continuare, ad andare avanti: Play Forward!
Dietro quello scudo a Torino c’eravamo tutt*, a spingere in avanti
quello scudo non c’erano solo diecimila corpi, ma sono riposte tutte le
nostre passioni di libertà che vogliono farsi spazio.
Un tassello fondamentale da considerare attiene alla questione mediale:
la gestione di questa operazione da parte della procura di Torino e
dalle questure locali è stata ragionata tatticamente in stretta
simbiosi con l’apparato dei media mainstream. E’ stato ricercata la
creazione di un Evento in grado di bucare lo schermo, che però non ha
avuto quella coda lunga che caratterizza usualmente le dinamiche
dell’informazione in questi casi.
Dopo la prima conferenza stampa con presentazione di filmati della
Digos e documenti scritti per destare scalpore, si è verificata una
chiusura repentina dello spazio mediatico; la mobilitazione messa in
campo dall’Onda ha probabilmente superato le aspettative delle nostre
controparti, e non appena questa capacità di far controcircuitare la
costruzione ideologica del teorema Caselli, di prendere parola dal
basso, è stata evidente, hanno in tutta fretta serrato i portoni prima
che la nostra piena straripasse travolgendo le loro menzogne.
Già due giorni dopo gli arresti, Rai, Corriere della Sera (per
l’ennesima volta megafono delle questure e giudice dei processi
nell’opinione pubblica), Repubblica e l’Unità hanno chiuso gli occhi di
fronte agli avvenimenti. Invece che gli usuali editoriali infamanti, al
posto di articoli delle abituali narrazioni sul rischio del ritorno del
terrorismo, il silenzio.
Possiamo considerare questo dato nella sua ambivalenza e ricavarne
qualche indirizzo strategico per il futuro: a differenza di altri
Eventi processuali contro i movimenti, in cui la campagna di
delegittimazione proseguiva per settimane, siamo riusciti a tappare le
loro bocche sputanti menzogne e anche la Procura di Torino è dovuta
repentinamente ripiegare sulla difensiva.
Tuttavia, è necessario fare un passo in più.
Dando assodato, nella nostra società, il paradigma governamentale che
fonde medialità e politica, un sapere di rottura deve fondere teoria
politica e teoria della comunicazione.
La strategia dell’Onda fino ad ora si è articolata come strategia
sottrattiva, nella ricerca di sfuggire ai luoghi comuni creati dalla
rappresentazione mediale; una strategia resistenziale che ha spesso
funzionato, e dato i suoi frutti. Ma dall’Onda Perfetta di Torino in
poi la scommessa è fare anche altri passaggi in avanti: la
controindicazione di questa strategia della sottrazione è che si lascia
troppo spesso l’iniziativa in mano all’avversario, si rischia di
riuscir a vivere politicamente solo nello spazio temporale in cui si
riesce a giocare la propria sottrazione, mentre è necessario far
crescere e consolidare nel tempo la costruzione di un nostro spazio di
comunicazione, un nostro frame. In termini comunicativi si tratta di
fare il salto che ci compete in termini politici: dal Noi la crisi non
la paghiamo! al In tempi di crisi decidiamo noi!.
La nostra sottrazione nasce dal rifiuto a mantenere in vita un sistema
che per progredire succhia le nostre vite, nasce dalla volontà di non
erogare più il valore di cui ha bisogno per sopravvivere, è una
sottrazione che deve far mancare le fondamenta, produrre un crollo. Non
è mai un passaggio difensivo o di fuga, abbiamo l’intelligenza del
sapere articolare, modulare, alternare a seconda delle fasi e dei
contesti, i passaggi di sottrazione ma anche di attacco, consolidare la
potenza costituente dell’Onda tematizzando un dualismo di poteri
all’interno delle università come passaggio tattico, senza mai scordare
che la nostra università critica, alternativa, autoriformata, non vuole
convivere con l’attuale governance, vuole spazzarla via! Siamo pronti a
costruire le nostre comunità pirate, a difenderle, ma siamo anche
pronti ad andare all’arrembaggio!
Un altro dato importante ci consegnano le lotte di questi mesi: se,
dopo le bocciature della Costituzione coi voti francese e olandese e di
fronte alla crisi, l’idea stessa di Europa Unita è di fatto svanita,
un’altra Europa si è affacciata. Dalla Grecia alla Francia, passando
per Germania, Croazia, Spagna, Islanda, Paesi baltici, si sta
costruendo uno spazio europeo del conflitto, che ha recepito la grande
intuizione dell’Onda italiana sulla crisi e ora grida a gran voce: We are their crisis!
Trepidanti nell’attesa di poter riabbracciare i/le nostr* fratelli e
sorelle, i/le nostr* compagn*, ripartiamo da qui verso una nuova
stagione di passione, conflitto e riappropriazione.
Copyriot Project-Onda Anomala Bologna.. Verso una nuova mareggiata…