Il mondo della formazione nel suo complesso viene sempre più adeguato alle logiche neoliberiste che lo vedono come dispositivo di disciplinamento di una forza lavoro precaria, ed in cui la produzione dei saperi viene immediatamente inserita in circuiti di valorizzazione ed espropriazione. Il cervello-macchina diviene il fulcro del percorso formativo, per strutturare generazioni in grado di mettere a lavoro il proprio strumento produttivo come un hardware. Si apre così uno scenario in cui il lavoro cognitivo si configura sempre più come apice dell’alienazione, dove la messa a valore delle capacità timiche, relazionali e affettive genera un’esistenza sempre più povera.
Negli ultimi dieci anni i governi di centro-destra e centro-sinistra hanno approvato riforme per ridefinire la funzione dell’università all’interno della società, con un progetto coordinato a livello europeo: il Bologna Process. Quest’ultimo ha significato sulla vita concreta di milioni e milioni di studenti e precari: l’implementazione di linee di inclusione differenziale nel processo formativo (3 2, proliferazione di master, dottorati, post-doc ecc..); la licealizzazione dell’università; la misurazione quantitativa del sapere, che invece è costitutivamente eccedente e irriducibile alla misura del mercato, tramite i crediti. Il Bologna Process è stata la porta attraverso la quale i rapporti precari hanno fatto il loro definitivo ingresso nel sistema formativo: l’incremento esponenziale di stage e tirocini gratuiti presso le aziende per gli studenti, i contratti come borsisti ed assegnisti, l’utilizzo estensivo di contratti a tempo, cooperative lavorative esterne, ricattabilità sul posto di lavoro.