In queste settimane volge al termine il primo grado del processo che vede imputati 25 compagn* che hanno partecipato alle manifestazioni contro il G8 di Genova il 19, 20 e 21 luglio 2001. Attraverso le richieste di condanna a 225 anni complessivi di carcere lo stato italiano intende formulare un giudizio storico e politico su quelle giornate, facendo pagare ad alcuni di noi, scelti nel mucchio come capri espiatori, il prezzo della paura che quelle giornate hanno saputo provocare ai potenti della terra. Ma, nella fase politica presente, le istituzioni repressive intendono anche lanciare un segnale preciso ai potenziali soggetti sociali conflittuali presenti e futuri, e ai movimenti che sul terreno dell’opposizione alle grandi opere, della lotta alla precarietà e della difesa e conquista di spazi sociali hanno praticato terreni di contrapposizione e rottura negli ultimi anni.
Il G8 ha catalizzato nel 2001 istanze di lotta composite e diversificate in quanto vertice dell’oppressione, della guerra, della devastazione ambientale, del razzismo. Le decisioni prese a Palazzo Ducale in quei giorni hanno avuto effetti sulle condizioni di vita di tutte e tutti, hanno dettato le linee dell’esproprio della dignità, della libertà, dell’intelligenza e fatica di tutti coloro che in ogni parte del globo sono costretti a vendere la loro forza-lavoro, patiscono l’insufficienza dei mezzi necessari per vivere, gli effetti delle carestie e delle speculazioni finanziarie, sono vittime delle guerre, della violenza razziale, dell’oppressione di classe.
Contro tutto questo abbiamo invaso in centinaia di migliaia da ogni parte del pianeta la città militarizzata, abbiamo portato a Genova la rivolta e il protagonismo sociale e politico, abbiamo messo in atto mille diverse forme di protesta e di azione, abbiamo raggiunto con il nostro messaggio di ribellione e speranza gli sguardi di milioni di persone che, ovunque nel mondo, hanno compreso e condiviso le nostre grida e le nostre scritte, hanno riconosciuto negli scontri e nella protesta la loro stessa rabbia, hanno avuto ancora una volta la conferma che il rifiuto dell’oppressione dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla donna travalica qualsiasi distanza e qualsiasi confine. Nelle immagini della protesta che hanno fatto il giro del mondo si è costituita una silenziosa e minacciosa amicizia politica globale.
I funzionari della repressione armata hanno scatenato per questo contro di noi la violenza più brutale e la ferocia più vigliacca, facendo di Genova il teatro di un’esperienza che ha segnato i ricordi di tutti. Donne e uomini pestati sull’asfalto da polizia, carabinieri e guardia di finanza, arresti di massa, inseguimenti e colpi di arma da fuoco. Sulle strade è rimasto il sangue, mentre nella caserma di Bolzaneto le torture fasciste degli uomini in divisa erano preludio del massacro preordinato alla scuola Diaz.
Nei giorni successivi, in molti hanno preferito prendere le distanze, dividere il movimento a partire dalle diverse sensibilità e pratiche di lotta, contrapporre astrattamente istanze e comportamenti che avevano avuto un obiettivo comune. Diversi soggetti politici presenti in piazza in quei giorni amministrano adesso le scelte di guerra, promulgano decreti repressivi e razzisti, sposano politiche sul lavoro che colpiscono i bisogni dei soggetti giovanili e precari metropolitani. Noi siamo quelli che non ora, ma già allora diffidarono profondamente di partiti e personaggi che ambivano ad attraversare il movimento con mire che divergevano evidentemente dall’urgenza di antagonismo che andava manifestandosi in tutti i grandi assedi ai vertici internazionali.
Dopo quelle memorabili e drammatiche giornate, quasi tutti hanno fatto il possibile per scongiurare il ripetersi di forme di contrapposizione politica verace e diffusa: le mobilitazioni contro le guerre globali degli anni 2000 hanno così patito un evidente difetto di incisività, e solo il movimento notav ha riaperto in Italia, nella pratica concreta ed efficace di un antagonismo di fatto, un discorso possibile di ricomposizione e progettualità che sappia interpretare le forme contemporanee di alterità politica e la loro nuova dimensione europea.
Il 17 novembre saremo ancora a Genova per chiedere la fine delle persecuzioni giudiziarie contro i 25 compagn* sotto processo. Non manifesteremo per ricordarci o per ricordare, ma per rivendicare a testa alta la nostra colpevolezza e consapevolezza.
Noi siamo stati quelli della battaglia strada per strada, della resistenza di massa a pubblico ufficiale, dell’azione diretta, dell’insubordinazione capillare. Le barricate, le fiamme, gli attacchi ai simboli concreti del modo di produzione e accumulazione capitalista messi in atto a Genova sono parte di una storia molto più grande, che da Seattle e Praga avrebbe raggiunto Parigi, Copenhagen e Rostock, in un disegno imprevedibile e spettrale che scompare e riappare, nelle sue variazioni e differenze, come un indice puntato verso il futuro. Là si concentrano tutti i nostri progetti rivoluzionari, là cospirano tutte le paure dei nostri nemici.
Abbiamo urlato, agito e viaggiato ben oltre Genova, siamo stati nei gesti di liberazione delle popolazioni sotto attacco nella guerra globale, nei processi di trasformazione in movimento in Asia e in America Latina, nelle lotte lontane del continente africano. Oggi lo stato italiano si affretta ad archiviare con queste sentenze qualcosa che non si può archiviare, né fermare o scongiurare. Con queste richieste di pena si vuole criminalizzare l’immagine di un movimento che ha devastato e saccheggiato. Ma dalla Val di Susa a Vicenza si alza la resistenza di chi sempre oserà rispondere: "Chi devasta? Chi saccheggia? Devastatore è il capitalismo!". E’ la resistenza di cui vorrebbero farci vergognare, quella resistenza deliberata e attiva che ci rende caro il ricordo di Carlo Giuliani, quella resistenza che sempre si rivolgerà, ancora e ancora, contro i suoi assassini in doppio petto e contro quelli in divisa.
Le decine di migliaia di persone che in quei giorni hanno camminato, protestato, cantato e hanno osato resistere e contrattaccare hanno trasformato Genova in una promessa, in qualcosa che è ancora da realizzare: l’apertura di nuovi spazi di movimento e conflitto sociale metropolitano in Europa e nel mondo, per la fine di un modello di accumulazione e potere vecchio e reazionario, per l’inizio della possibilità, per tutte e tutti, di progettare il nuovo.
Manifestare a Genova vuol dire promettere a nostra volta, rilanciare la mobilitazione e la critica, ricordare a chi ci ha dato la caccia che non si uccidono i fantasmi della crisi delle forme istituzionali della rappresentanza e del prodursi di sempre nuovi percorsi di opposizione sociale.
Non ci ha fermato la vostra violenza, non ci fermano i vostri processi: non ci avete fatto abbastanza male per impedirci – ovunque – di pensare, di decidere, di tornare.
MANIFESTAZIONE A GENOVA
17 NOVEMBRE 2007
H 15 COMUNITÀ DI SAN BENEDETTO AL PORTO
MARINA DI GENOVA
L’AREA ANTAGONISTA
NETWORK ANTAGONISTA TORINESE
CSOA ASKATASUNA – TORINO
CSA MURAZZI – TORINO
COLLETTIVO UNIVERSITARIO AUTONOMO – TORINO
CRASH! LABORATORIO DEL PRECARIATO SOCIALE – BOLOGNA
MAO – MOVIMENTO AUTORGANIZZATO OCCUPANTI – BOLOGNA
COLLETTIVO UNIVERSITARIO AUTONOMO – BOLOGNA
CSOA EX CARCERE – PALERMO
COMITATO DI LOTTA PER LA CASA "12 LUGLIO" – PALERMO
COLLETTIVO UNIVERSITARIO AUTONOMO – PALERMO
CSA "GASTONE DORDONI" – CREMONA
CAM – COLLETTIVO AUTOGESTITO MODENESE – MODENA
CSA MATTONE ROSSO – VERCELLI
CDA SENZA TREGUA – VERCELLI
CSOA "A. CARTELLA" – REGGIO CALABRIA
E-RETICOLLETTIVO – ORBASSANO (TO)
COLLETTIVO AUTONOMO "PECORE NERE" – ASTI
SARE ANTIFAXISTA – BILBAO (EUSKADI)
FORZE ANTAGONISTE LIVORNESI
CSA GODZILLA – LIVORNO
OFFICINA SOCIALE REFUGIO – LIVORNO
CENTRO DI QUARTIERE CHICO MALO – LIVORNO
CENTRO SOCIALE GERMINAL CIMARELLI – TERNI
REBEL FANS! ULTRAS ANTIFA – COSENZA
AREA ANTAGONISTA CAMPANA
CSOA OFFICINA99 – NAPOLI
LABORATORIO OCCUPATO SKA – NAPOLI
APPUNTAMENTO ORE 8.OO IN STAZIONE A BOLOGNA