La macchina delle conoscenze

di Enzo Modugno (da Il Manifesto del 12 dicembre)

A ogni ondata di lotte per l’istruzione riaffiorano le questioni sulla
natura delle conoscenze: chi le produce, chi se ne appropria, «che
fare». Con almeno tre linee interpretative.
La prima – dovuta ai nostalgici del fordismo che ritengono che il
capitale non sia cambiato – ripropone la rivendicazione tradizionale
dei partiti di sinistra che è sopravvissuta come richiesta della
formazione una volta fornita dalla riforma Gentile, ma estesa a tutti
con la scuola pubblica. È la linea di qualche partito e di qualche
sindacato anche di base della scuola. Equivale alla pretesa di quei
socialisti francesi dell’800 che volevano far diventare tutti
capitalisti.
La seconda non è altro che positivismo informatico:
teorici della moltitudine e mediologi postmodernisti che hanno creduto
nelle capacità liberatorie delle nuove tecnologie, e che considerano
perciò il nuovo capitale come puro dominio, ormai senza alcuna funzione
nella produzione. Credono cioè che le tecnologie informatiche non siano
macchine capitalistiche ma strumenti dell’«intellettualità diffusa».
L’economia sarebbe diventata, come credeva Foucault, bioeconomia:
quindi niente più macchine perché è il cervello umano che è diventato
capitale fisso. E quindi concludono, romanticamente, che sono diventati
produttivi tutti i viventi.
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Per un uso antagonista della crisi

[Documento sintetico della 2 giorni di discussione tenutasi l’8-9
novembre al csoa Askatasuna cui hanno partecipato realtà antagoniste di
diverse città italiane
]

Stiamo attraversando un frangente storico in cui la stessa nozione di
“fase” (politica, economica) potrebbe presto perdere di senso perché
incapace di comprendere e spiegare una temporalità e un orizzonte
differenti per natura
da quelli che li hanno preceduti. Ci troviamo di fronte ad una crisi
ancora non misurabile coi parametri classici e che ci si presenta
innanzi (forse per anni) come sfondo normale del nostro vivere e agire
politico quotidiano
. Una crisi non congiunturale quindi, ma di
medio-lungo periodo, strutturale e sistemica. Una crisi formatasi in un
contesto di globalizzazione capitalista compiuta, originatasi negli
Stati Uniti ma propagatasi viralmente in tutto il globo, creando un
sistema deficitario globale che intacca l’Asia e l’Europa, l’Africa e
l’America Latina. Nessuno è al riparo dalla crisi ma non tutti
pagheranno gli stessi costi, in termini assoluti e proporzionali
. In
alcune aree dell’ex-Terzo Mondo gli effetti della crisi sono stati
pagati preventivamente con la manifestazione di una crisi alimentare
che è già anticipazione di futuri disastri, laddove è la stessa
possibilità di sussistenza (cereali come petrolio) ad essere quotata in
borsa. Così, a differenti livelli, per quote consistenti di popolazione
statunitense è l’intero sistema-welfare a essere giocato sui tavoli
delle roulettes finanziarie attraverso la privatizzazione del deficit spending.
In Europa, Asia e LatinoAmerica la crisi colpisce con gradi e intensità
differenti ma quello che  è certo è che non si sta dando alcun decoupling (sganciamento) rispetto a una crisi che è globale.
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