di Enzo Modugno (da Il Manifesto del 12 dicembre)
A ogni ondata di lotte per l’istruzione riaffiorano le questioni sulla
natura delle conoscenze: chi le produce, chi se ne appropria, «che
fare». Con almeno tre linee interpretative.
La prima – dovuta ai nostalgici del fordismo che ritengono che il
capitale non sia cambiato – ripropone la rivendicazione tradizionale
dei partiti di sinistra che è sopravvissuta come richiesta della
formazione una volta fornita dalla riforma Gentile, ma estesa a tutti
con la scuola pubblica. È la linea di qualche partito e di qualche
sindacato anche di base della scuola. Equivale alla pretesa di quei
socialisti francesi dell’800 che volevano far diventare tutti
capitalisti.
La seconda non è altro che positivismo informatico:
teorici della moltitudine e mediologi postmodernisti che hanno creduto
nelle capacità liberatorie delle nuove tecnologie, e che considerano
perciò il nuovo capitale come puro dominio, ormai senza alcuna funzione
nella produzione. Credono cioè che le tecnologie informatiche non siano
macchine capitalistiche ma strumenti dell’«intellettualità diffusa».
L’economia sarebbe diventata, come credeva Foucault, bioeconomia:
quindi niente più macchine perché è il cervello umano che è diventato
capitale fisso. E quindi concludono, romanticamente, che sono diventati
produttivi tutti i viventi.
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